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lunedì 5 maggio 2014

Celestino V e la Perdonanza

Fra pochi giorni, il 19 maggio, si celebra la morte di Celestino V e in generale in Abruzzo si festeggia le Perdonanza, il momento in cui lo stesso è stato incoronato Papa.
 
ll 19 Maggio 1296 morì e venne sepolto nella città dell'Aquila Pietro Angeleri o Pietro da Morrone o Celestino V Papa, poi Santo. Si tratta di una figura storica da ricollegare alla realtà prettamente abruzzese dove visse gran parte del proprio eremitaggio, molisana - nacque ad Isernia, e campana - trascorse a Napoli e dintorni parte del suo breve ma intenso Pontificato. E' una figura peculiare sotto tanti punti di vista per cui penso valga la pena di ricordarsi di commemorarla in questa giornata.
Figura non solo legata all'Abruzzo ma in particolar modo alla città dell'Aquila che lo ha visto incoronare Papa nella  Basilica di Santa Maria di Collemaggio,  stupenda chiesa ed esempio di architettura romanico-gotica abruzzese e con forme barocche,   per altro ora in parte distrutta dall'ultimo terremoto (infatti ne ha subiti altri nel tempo) e di cui si stanno puntellando i resti e scandagliando i detriti per cercare di recuperare del materiale. Tutto questo bene prezioso è degno di nota ed appunto ci porta a Celestino V.

Prima di essere Papa è stato soprattutto un eremita dell'ordine dei Celestini da lui fondato  - Congregazione che ha avuto una storia molto importante anche in Francia - poi incorporati nei Benedettini, che si sentì sin da giovane chiamato alla vita eremitica e che ebbe il permesso di vivere in solitudine su richiesta, come anche la regola benedettina consentiva. Il motivo per cui egli scelse proprio la città dell'Aquila come base della sua vita e soprattutto per la costruzione della Basilica di Santa Maria di Collemaggio porterebbe a fare degli studi a parte dato che esiste persino una bibliografia di stampo esoterico, comunque collegata anche alla considerazione di simboli particolari come quello di paragonare la pianta dell'Aquila a quella di Gerusalemme. Tuttavia, resta il fatto che Pietro del Morrone fosse stato sempre legato a questi luoghi deputati per la sua vita contemplativa ed eremitica di cui ne fece una scelta ed un modello. Prima si ritirò ai piedi del Monte Morrone a Sulmona dove si costruì una grotta conosciuta con il nome di Eremo di Sant'Onofrio (ad oggi visitabile), primo nucleo della Badia Morronese, indegnamente oggi sacrificata nella funzione di penitenziario. Poi si trasferì nella Maiella più a sud, a Santo Spirito, dove l'asperità del luogo nonché del territorio primeggia.

La sua vita era fatta di stenti, di povertà, di penitenza, della mortificazione della carne, della dedizione totale a Dio, di sacrifici fisici come quello di portare ai lombi una catena di ferro ed un cilicio in ferro per provocare fastidi e dolori alla propria pelle. Attraverso un'inferriata poteva comunicare con i fedeli che andavano a trovarlo. L'umiltà era alla base del proprio insegnamento che impartiva ai suoi discepoli ed ai suoi frati con le parole e con l'esempio.

Nell'inverno del 1273 si recò a piedi in Francia, a Lione, dove stavano per iniziare i lavori del Concilio di Lione II per impedire che l'ordine monastico da lui stesso fondato - quello dei Celestini -  fosse soppresso. La missione ebbe successo poiché grande era la fama di santità che accompagnava il monaco eremita. Sembra inoltre che durante il viaggio verso Lione sia venuto a contatto con i Cavalieri Templari stringendo amicizia con loro i quali a loro volta intercedettero a suo favore durante il concilio. Se tra Pietro del Morrone ed i Templari, i monaci guerrieri il cui compito ufficiale era la protezione dei pellegrini e dei luoghi santi, vi sia stato un rapporto  più profondo di quello determinato dall'occasionale incontro a Lione, nulla sappiamo con certezza.

I successivi vent'anni videro la radicalizzazione della sua vocazione ascetica e il suo distaccarsi sempre più da tutti i contatti con il mondo esterno, fino a quando non fu convinto che stesse sul punto di lasciare la vita terrena per ritornare a Dio. Ma un fatto del tutto inaspettato stava per accadere. Negli anni 1290 la Chiesa era senza Pontificato e calata pesantemente nel potere temporale, aveva quindi identificato in tale padre il Papa perfetto e lo chiamò per essere designato tale. Pietro non ha mai creduto pienamente alla sua chiamata, non si sentiva adatto per svolgere un tale ruolo e non se ne vergognava. Ma le troppe insistenze lo hanno portato a farsi incoronare Papa nella famosa Basilica a cui era molto legato il 29 agosto 1294. Nel tempo, soffocato però dal fasto a lui inconsueto, egli sentì più forte il rimpianto dell'austera ma serena vita di contemplazione e di preghiera dell'eremo che rivolle indietro. Tutte le testimonianze dei suoi consiglieri conducono ad una persona degna da farne un santo, devota alla cella dove pregare per la salvezza altrui. Rinunciò al Papato quindi non solo in nome dell'amore per la solitudine ma anche del desiderio di non nuocere alla Chiesa.
 ("Fit monachus qui papa fuit") ("Ridiviene monaco colui che era stato Papa").
« Ego Caelestinus Papa Quintus motus ex legittimis causis, idest causa humilitatis, et melioris vitae, et coscientiae illesae, debilitate corporis, defectu scientiae, et malignitate Plebis, infirmitate personae, et ut praeteritae consolationis possim reparare quietem; sponte, ac libere cedo Papatui, et expresse renuncio loco, et Dignitati, oneri, et honori, et do plenam, et liberam ex nunc sacro caetui Cardinalium facultatem eligendi, et providendi duntaxat Canonice universali Ecclesiae de Pastore. »
« Io Papa Celestino V, spinto da legittime ragioni, per umiltà e debolezza del mio corpo e la malignità della plebe [di questa plebe], al fine di recuperare con la consolazione della vita di prima, la tranquillità perduta, abbandono liberamente e spontaneamente il Pontificato e rinuncio espressamente al trono, alla dignità, all'onere e all'onore che esso comporta, dando sin da questo momento al sacro Collegio dei Cardinali la facoltà di scegliere e provvedere, secondo le leggi canoniche, di un pastore la Chiesa Universale. »
(Celestino V Bolla Pontificia Napoli, 13 dicembre 1294)
Uomo veramente d'altri tempi che meriterebbe un cenno ed un ricordo  se non una volta al giorno almeno una volta all'anno. La città dell'Aquila oltre che commemorarlo perennemente contenendo le proprie reliquie all'interno della Basilica di Collemaggio dove si trova il mausoleo a lui dedicato, reliquie che pare non siano state intaccate dal terremoto, lo festeggia con riti e cerimonie tutti i 18 e 19 maggio, che lo ricordano rispettivamente sotto il nome di Celestino e di Pietro del Morrone, per non parlare delle celebrazioni centenarie e della settimana della Perdonanza, evento storico-religioso che si tiene all'Aquila durante l'ultima settimana di agosto. Il culto della Perdonanza fu talmente forte e sentito da farlo festeggiare sottoforma di fiere, feste proprio presso la Basilica che, con il suo ampio spazio circostante grazie al piazzale, ben si presta ad accogliere folle e folle di fedeli. Tale culto si riferisce alla Bolla della Perdonanza: il 29 settembre 1294 Celestino V formalizzò per iscritto  la concessione verbale della Perdonanza che si ricollega alla riflessione sull'indulgenza. Difatti, tale "Bolla" concede un'indulgenza plenaria a chiunque, confessato e comunicato, entri nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio dai vespri del 28 agosto a quelli del 29.

Una nota di cronaca: a proposito di Brigantaggio, pare proprio che il 29 Agosto 1567, in occasione del giorno della Perdonanza, vennero spediti dal Teramano - fulcro della lotta contro il brigantaggio abruzzese - all'Aquila un buon numero di briganti catturati per essere poi giustiziati, ma purtroppo prima seviziati in maniera atroce.

La mia ultima riflessione su Celestino V è data dalla questione sollevata dai versi di Dante Alighieri nella sua Divina Commedia (III canto vv. 56-69). Nel viaggio della sua fantasia e nel mondo dell'al di là dichiara di essersi trovato nel vestibolo dell'inferno, una sorta di limbo infernale che raccoglieva le anime di coloro che in vita non avevano seguito e praticato né il bene né il male e quindi non erano né salve né condannate. E' proprio tra queste anime che egli dichiara di avere veduta "l'ombra di colui/Che fece per viltà il gran rifiuto". Ci sono state varie interpretazioni delle sue parole - alcune vedono in esse l'identificazione in Celestino, altre in altri personaggi.

La punizione di Dante per le anime della schiera a cui apparterrebbe anche quella del personaggio cui si allude col grande rifiuto è che, per la legge del contrappasso per antitesi, queste sono ignobilmente condannate dalla fantasia del poeta a correre incessantemente dietro un'insegna velocissima, punizione corrispondente alla ignavia condotta nella loro vita, e a correre nude e tormentate da mosconi e vespe che fanno loro sanguinare il volto e scorrere il sangue fin ai piedi, qui raccolto da vermi. Come se in vita Celestino V  non avesse conosciuto  la sofferenza ed i fastidi fisici...Direi che egli non si merita semmai tale trattamento da persona spregevole, vera nullità..."sciagurati che mai non fur vivi", individui "a Dio spiacenti ed ai nemici sui".  Sono le "anime triste di coloro/Che  visser sanza infamia e sanza lodo". Sono le anime di gente per la quale non vale neanche la pena di fermarsi a parlarne.
Francesco Petrarca invece diede di questo gesto un'interpretazione diametralmente opposta, ritenendo che una persona come l'Angeleri, dotata di alta spiritualità, non avrebbe mai potuto attendere ai doveri papali se quei doveri, come succedeva a quei tempi, andavano a prevalere sui principi morali. In altri termini, Celestino V, uomo di alti principi morali, non tollerava che la Chiesa nel corso della gestione temporale potesse sottostare a compromessi.

Di Celestino V, in realtà, se ne parlerebbe all'infinito, come per altro ci insegnano gli innumerevoli studi critici, le biografie (soprattutto la "Vita C"), gli inni, nonché la sua autobiografia che lasciò nella sua cella. Ne risulta un modello di persona che con la sua apparente ambiguità (dotto prelato e umile eremita) rappresenta due facce della Chiesa storica: i suoi poli estremi. Ne risulta una figura di alto rispetto, purissima, il rovescio dei comuni esseri viventi e degnissima di essere annoverata nel tempo ed in tutti i tempi, perché atta ad essere presa come modello..."Qui humiliatus fuerit, erit in gloria" ( da Giobbe XXII, 29 nel breviario Celestino).

Ritengo che sia essenziale cogliere nella vita di Pietro del Morrone il taglio ascetico  di un'esistenza vissuta nella sobrietà ed offerta a noi quale contestazione di uno stile di vita moderna, succube del benessere, proposta di una vita come "lotta" e non necessariamente tediata dal dolore, in quanto basata sulla serenità ed ilarità di animo..."Ecco un divertente Celestino". Questa espressione è divenuta proverbio, per designare un uomo il cui spirito è un pò euforico.

In conclusione, se si hanno dei dubbi o incertezze non soltanto sul commemorare San Celestino V ma sul ricordarlo come personaggio storico, vorrei sottolineare l'importanza di tale persona nella storia della Chiesa in quanto segnò un capitolo fondamentale che vide un momento di passaggio segnato dalla scomparsa del potere temporale della Chiesa, del periodo delle eresie e dell'Inquisizione, dalla riflessione sui troppi sfarzi del Pontificato, dalla fede in un Dio che si ascolta nel silenzio del cuore, dalla rinuncia del potere dell'io e soprattutto dalla nascita del concetto della Perdonanza e dell'indulgenza, vale a dire del PERDONO. Il perdono concepito anche come una sorta di formula magica, "come strumento per annullare il giudizio, quel giudizio che separa chi giudica e chi ne è oggetto" ("I Templari e il Colle Magico di Celestino", Maria Grazia Lopardi) ed anche "Omnibus  Christi Fidelibus", l'opportunità di diventare integri, superando in sé la dicotomia luce-ombra, di ritrovare la pace per smettere di soffrire.

Roberta Bartolini


 

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