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venerdì 26 luglio 2013

Celestino V e la Perdonanza

Presento un mio scritto su Celestino V per due motivi:
il 27 luglio sarà San Celestino, già festeggiato il 19 maggio in cui
si celebra la sua morte e in generale in Abruzzo si festeggia la
Perdonanza, il momento in cui lo stesso è stato incoronato Papa.
Inoltre, trovo il momento migliore per ricordare un altro Papa
coraggioso, buono ed "ingenuo",tutto dedito alla spiritualità che
all'epoca cozzava con la temporalità, momento in cui finalmente si
parla di restaurare la Basilica di Collemaggio, simbolo della città
dell'Aquila (città dove San Celestino è stato incoronato Papa) ad oggi
distrutto a causa del terribile sisma del 2009. Nonostante le promesse
da parte di governi ed enti stranieri che avrebbero dovuto occuparsi
del finanziamento per il restauro di tutto il centro storico de
L'Aquila, nulla si è mosso finora. Ma pare che entro la fine dell'anno
si possa procedere con il ripristino della stupenda Basilica che
definirei, avendola visitata, una forte emozione, una delle meraviglie
della vita, un momento distaccato dal mondo, un regalo per il nostro
cuore.
Celestino V vale tutto questo.
Grazie
Roberta Bartolini
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ll 19 Maggio 1296 morì e venne sepolto nella città dell'Aquila Pietro
Angeleri o Pietro da Morrone o Celestino V Papa, poi Santo. Si tratta
di una figura storica da ricollegare alla realtà prettamente abruzzese
dove visse gran parte del proprio eremitaggio, molisana - nacque ad
Isernia, e campana - trascorse a Napoli e dintorni parte del suo breve
ma intenso Pontificato. E' una figura peculiare sotto tanti punti di
vista per cui penso valga la pena di ricordarsi di commemorarla in
questa giornata.
Figura non solo legata all'Abruzzo ma in particolar modo alla città
dell'Aquila che lo ha visto incoronare Papa nella  Basilica di Santa
Maria di Collemaggio,  stupenda chiesa ed esempio di architettura
romanico-gotica abruzzese e con forme barocche,   per altro ora in
parte distrutta dall'ultimo terremoto (infatti ne ha subiti altri nel
tempo) e di cui si stanno puntellando i resti e scandagliando i
detriti per cercare di recuperare del materiale. Tutto questo bene
prezioso è degno di nota ed appunto ci porta a Celestino V.
Prima di essere Papa è stato soprattutto un eremita dell'ordine dei
Celestini da lui fondato  - Congregazione che ha avuto una storia
molto importante anche in Francia - poi incorporati nei Benedettini,
che si sentì sin da giovane chiamato alla vita eremitica e che ebbe il
permesso di vivere in solitudine su richiesta, come anche la regola
benedettina consentiva. Il motivo per cui egli scelse proprio la città
dell'Aquila come base della sua vita e soprattutto per la costruzione
della Basilica di Santa Maria di Collemaggio porterebbe a fare degli
studi a parte dato che esiste persino una bibliografia di stampo
esoterico, comunque collegata anche alla considerazione di simboli
particolari come quello di paragonare la pianta dell'Aquila a quella
di Gerusalemme. Tuttavia, resta il fatto che Pietro del Morrone fosse
stato sempre legato a questi luoghi deputati per la sua vita
contemplativa ed eremitica di cui ne fece una scelta ed un modello.
Prima si ritirò ai piedi del Monte Morrone a Sulmona dove si costruì
una grotta conosciuta con il nome di Eremo di Sant'Onofrio (ad oggi
visitabile), primo nucleo della Badia Morronese, indegnamente oggi
sacrificata nella funzione di penitenziario. Poi si trasferì nella
Maiella più a sud, a Santo Spirito, dove l'asperità del luogo nonché
del territorio primeggia.
La sua vita era fatta di stenti, di povertà, di penitenza, della
mortificazione della carne, della dedizione totale a Dio, di sacrifici
fisici come quello di portare ai lombi una catena di ferro ed un
cilicio in ferro per provocare fastidi e dolori alla propria pelle.
Attraverso un'inferriata poteva comunicare con i fedeli che andavano a
trovarlo. L'umiltà era alla base del proprio insegnamento che
impartiva ai suoi discepoli ed ai suoi frati con le parole e con
l'esempio.
Nell'inverno del 1273 si recò a piedi in Francia, a Lione, dove
stavano per iniziare i lavori del Concilio di Lione II per impedire
che l'ordine monastico da lui stesso fondato - quello dei Celestini -
fosse soppresso. La missione ebbe successo poiché grande era la fama
di santità che accompagnava il monaco eremita. Sembra inoltre che
durante il viaggio verso Lione sia venuto a contatto con i Cavalieri
Templari stringendo amicizia con loro i quali a loro volta
intercedettero a suo favore durante il concilio. Se tra Pietro del
Morrone ed i Templari, i monaci guerrieri il cui compito ufficiale era
la protezione dei pellegrini e dei luoghi santi, vi sia stato un
rapporto  più profondo di quello determinato dall'occasionale incontro
a Lione, nulla sappiamo con certezza.
I successivi vent'anni videro la radicalizzazione della sua vocazione
ascetica e il suo distaccarsi sempre più da tutti i contatti con il
mondo esterno, fino a quando non fu convinto che stesse sul punto di
lasciare la vita terrena per ritornare a Dio. Ma un fatto del tutto
inaspettato stava per accadere. Negli anni 1290 la Chiesa era senza
Pontificato e calata pesantemente nel potere temporale, aveva quindi
identificato in tale padre il Papa perfetto e lo chiamò per essere
designato tale. Pietro non ha mai creduto pienamente alla sua
chiamata, non si sentiva adatto per svolgere un tale ruolo e non se ne
vergognava. Ma le troppe insistenze lo hanno portato a farsi
incoronare Papa nella famosa Basilica a cui era molto legato il 29
agosto 1294. Nel tempo, soffocato però dal fasto a lui inconsueto,
egli sentì più forte il rimpianto dell'austera ma serena vita di
contemplazione e di preghiera dell'eremo che rivolle indietro. Tutte
le testimonianze dei suoi consiglieri conducono ad una persona degna
da farne un santo, devota alla cella dove pregare per la salvezza
altrui. Rinunciò al Papato quindi non solo in nome dell'amore per la
solitudine ma anche del desiderio di non nuocere alla Chiesa.
 ("Fit monachus qui papa fuit") ("Ridiviene monaco colui che era stato Papa").
« Ego Caelestinus Papa Quintus motus ex legittimis causis, idest causa
humilitatis, et melioris vitae, et coscientiae illesae, debilitate
corporis, defectu scientiae, et malignitate Plebis, infirmitate
personae, et ut praeteritae consolationis possim reparare quietem;
sponte, ac libere cedo Papatui, et expresse renuncio loco, et
Dignitati, oneri, et honori, et do plenam, et liberam ex nunc sacro
caetui Cardinalium facultatem eligendi, et providendi duntaxat
Canonice universali Ecclesiae de Pastore. »
« Io Papa Celestino V, spinto da legittime ragioni, per umiltà e
debolezza del mio corpo e la malignità della plebe [di questa plebe],
al fine di recuperare con la consolazione della vita di prima, la
tranquillità perduta, abbandono liberamente e spontaneamente il
Pontificato e rinuncio espressamente al trono, alla dignità, all'onere
e all'onore che esso comporta, dando sin da questo momento al sacro
Collegio dei Cardinali la facoltà di scegliere e provvedere, secondo
le leggi canoniche, di un pastore la Chiesa Universale. »
(Celestino V Bolla Pontificia Napoli, 13 dicembre 1294)
Uomo veramente d'altri tempi che meriterebbe un cenno ed un ricordo
se non una volta al giorno almeno una volta all'anno. La città
dell'Aquila oltre che commemorarlo perennemente contenendo le proprie
reliquie all'interno della Basilica di Collemaggio dove si trova il
mausoleo a lui dedicato, reliquie che pare non siano state intaccate
dal terremoto, lo festeggia con riti e cerimonie tutti i 18 e 19
maggio, che lo ricordano rispettivamente sotto il nome di Celestino e
di Pietro del Morrone, per non parlare delle celebrazioni centenarie e
della settimana della Perdonanza, evento storico-religioso che si
tiene all'Aquila durante l'ultima settimana di agosto. Il culto della
Perdonanza fu talmente forte e sentito da farlo festeggiare sottoforma
di fiere, feste proprio presso la Basilica che, con il suo ampio
spazio circostante grazie al piazzale, ben si presta ad accogliere
folle e folle di fedeli. Tale culto si riferisce alla Bolla della
Perdonanza: il 29 settembre 1294 Celestino V formalizzò per iscritto
la concessione verbale della Perdonanza che si ricollega alla
riflessione sull'indulgenza. Difatti, tale "Bolla" concede
un'indulgenza plenaria a chiunque, confessato e comunicato, entri
nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio dai vespri del 28 agosto
a quelli del 29.
Una nota di cronaca: a proposito di Brigantaggio, pare proprio che il
29 Agosto 1567, in occasione del giorno della Perdonanza, vennero
spediti dal Teramano - fulcro della lotta contro il brigantaggio
abruzzese - all'Aquila un buon numero di briganti catturati per essere
poi giustiziati, ma purtroppo prima seviziati in maniera atroce.
La mia ultima riflessione su Celestino V è data dalla questione
sollevata dai versi di Dante Alighieri nella sua Divina Commedia (III
canto vv. 56-69). Nel viaggio della sua fantasia e nel mondo dell'al
di là dichiara di essersi trovato nel vestibolo dell'inferno, una
sorta di limbo infernale che raccoglieva le anime di coloro che in
vita non avevano seguito e praticato né il bene né il male e quindi
non erano né salve né condannate. E' proprio tra queste anime che egli
dichiara di avere veduta "l'ombra di colui/Che fece per viltà il gran
rifiuto". Ci sono state varie interpretazioni delle sue parole -
alcune vedono in esse l'identificazione in Celestino, altre in altri
personaggi.
La punizione di Dante per le anime della schiera a cui apparterrebbe
anche quella del personaggio cui si allude col grande rifiuto è che,
per la legge del contrappasso per antitesi, queste sono ignobilmente
condannate dalla fantasia del poeta a correre incessantemente dietro
un'insegna velocissima, punizione corrispondente alla ignavia condotta
nella loro vita, e a correre nude e tormentate da mosconi e vespe che
fanno loro sanguinare il volto e scorrere il sangue fin ai piedi, qui
raccolto da vermi. Come se in vita Celestino V  non avesse conosciuto
la sofferenza ed i fastidi fisici...Direi che egli non si merita
semmai tale trattamento da persona spregevole, vera
nullità..."sciagurati che mai non fur vivi", individui "a Dio
spiacenti ed ai nemici sui".  Sono le "anime triste di coloro/Che
visser sanza infamia e sanza lodo". Sono le anime di gente per la
quale non vale neanche la pena di fermarsi a parlarne.
Francesco Petrarca invece diede di questo gesto un'interpretazione
diametralmente opposta, ritenendo che una persona come l'Angeleri,
dotata di alta spiritualità, non avrebbe mai potuto attendere ai
doveri papali se quei doveri, come succedeva a quei tempi, andavano a
prevalere sui principi morali. In altri termini, Celestino V, uomo di
alti principi morali, non tollerava che la Chiesa nel corso della
gestione temporale potesse sottostare a compromessi.
Di Celestino V, in realtà, se ne parlerebbe all'infinito, come per
altro ci insegnano gli innumerevoli studi critici, le biografie
(soprattutto la "Vita C"), gli inni, nonché la sua autobiografia che
lasciò nella sua cella. Ne risulta un modello di persona che con la
sua apparente ambiguità (dotto prelato e umile eremita) rappresenta
due facce della Chiesa storica: i suoi poli estremi. Ne risulta una
figura di alto rispetto, purissima, il rovescio dei comuni esseri
viventi e degnissima di essere annoverata nel tempo ed in tutti i
tempi, perché atta ad essere presa come modello..."Qui humiliatus
fuerit, erit in gloria" ( da Giobbe XXII, 29 nel breviario Celestino).
Ritengo che sia essenziale cogliere nella vita di Pietro del Morrone
il taglio ascetico  di un'esistenza vissuta nella sobrietà ed offerta
a noi quale contestazione di uno stile di vita moderna, succube del
benessere, proposta di una vita come "lotta" e non necessariamente
tediata dal dolore, in quanto basata sulla serenità ed ilarità di
animo..."Ecco un divertente Celestino". Questa espressione è divenuta
proverbio, per designare un uomo il cui spirito è un pò euforico.
In conclusione, se si hanno dei dubbi o incertezze non soltanto sul
commemorare San Celestino V ma sul ricordarlo come personaggio
storico, vorrei sottolineare l'importanza di tale persona nella storia
della Chiesa in quanto segnò un capitolo fondamentale che vide un
momento di passaggio segnato dalla scomparsa del potere temporale
della Chiesa, del periodo delle eresie e dell'Inquisizione, dalla
riflessione sui troppi sfarzi del Pontificato, dalla fede in un Dio
che si ascolta nel silenzio del cuore, dalla rinuncia del potere
dell'io e soprattutto dalla nascita del concetto della Perdonanza e
dell'indulgenza, vale a dire del PERDONO. Il perdono concepito anche
come una sorta di formula magica, "come strumento per annullare il
giudizio, quel giudizio che separa chi giudica e chi ne è oggetto" ("I
Templari e il Colle Magico di Celestino", Maria Grazia Lopardi) ed
anche "Omnibus  Christi Fidelibus", l'opportunità di diventare
integri, superando in sé la dicotomia luce-ombra, di ritrovare la pace
per smettere di soffrire.

Roberta Bartolini





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