Peccato che a furia di non trattare con serietà e consapevolezza i problemi che attanagliano l'Italia quelli meno contingenti e meno vicini alla popolazione rischiano di essere soppiantati da altri ed eliminati. Ma in un Paese civile non funziona cosi. Pertanto, ritengo doveroso un dibattito sul caso eclatante Santanché condannata ad una multa salata e ad un mese di carcere per aver fatto un sit-in, una manifestazione ant-burqua anni fa a Roma solo per difendere i diritti della donna sia straniera (islamica) che italiana. L'Imam ha fatto seguito alla condanna da parte della magistatura fomentando odio sulla deputata di Forza Italia (non a caso) sostenendo: "Santanché bruci all'inferno". Parole gravissime ed assurde a cui la stessa deputata ha replicato nel seguente modo: "Minacce gravi, condanna a morte da non sottovalutare. Le parole di Abu Shwaima sono intollerabili. Lo denuncerò". Innanzitutto bisognerebbe chiarire il motivo della condanna in quanto a questo punto non possono non venire dei sospetti. E' stata condannata per contenuto o per forma? La punizione è stata messa in atto perché la rappresentante di Forza Italia ha manifestato contro il burqua simbolo della religione islamica che il mondo islamico intende imporre anche nel nostro Paese nella misira in cui si permette loro, oppure perché nel fare il sit-in e nell'allestire il palco rispettivo non ha seguito le norme vigenti? Inoltre, come commenta Magdi Cristiano Allam, "In un Paese civile avremmo ringraziato Daniela Santanché per aver promosso un'iniziativa pubblica volta ad assicurare il rispetto delle leggi dello Stato...", con serietà e responsabilità non solo si sarebbe dovuto ringraziare una Santanché ma anche premiare per il coraggio di esporre le proprie idee in un momento in cui il coraggio latita soprattutto se si tratta di avere coraggio a mettersi contro un Imam ed il suo potere. Occorre discutere non solo di Islam ma in linea generale. Il dibattitto fonte di scambio di cultura in Italia è assente. Occorre cambiare rotta.
Roberta Bartolini
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